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UNA INTERVISTA AD AMADEO BORDIGA

Da "Storia contemporanea" n. 3 del settembre 1973 Raccolta da Edek Osser, giugno 1970

bordiga1. Nel novembre 1917 lei partecipò, a Firenze, ad un convegno clandestino della corrente "intransigente rivoluzionaria" del partito socialista. In quell'occasione lei incitò i socialisti ad approfittare della crisi militare per prendere le armi e portare l'attacco decisivo alla borghesia. Che esito ebbe la sua proposta? Era matura fin da allora, secondo lei, la situazione rivoluzionaria in Italia?

Sì, ero presente, nel novembre 1917, alla riunione clandestina di Firenze della frazione "intransigente rivoluzionaria" che dirigeva quale maggioranza il partito socialista italiano fin dal 1914. La direzione era informata della convocazione di Firenze: non la sconfessò, ed era anche rappresentata.

Fu in tale riunione che mi incontrai per la prima volta con Antonio Gramsci, che mostrò il più grande interesse alla mia esposizione. Conservo ancora l'impressione che egli, con la sua non comune intelligenza, da un lato approvasse e condividesse pienamente le mie tesi marxiste radicali, che sembrava ascoltare per la prima volta; dall'altro ne accennasse una sottile, precisa e polemica critica, come già risultava dai sostanziali dissensi tra il settimanale Il Soviet di Napoli, da me diretto, e la sua rivista di Torino, L'Ordine Nuovo. Questi dissensi ci erano chiari fin da quando, con un breve articolo, manifestammo il nostro saluto all'annuncio della nascita della rivista di Torino, pur avendo constatato che il suo dichiarato concretismodimostrava una tendenza gradualista che sarebbe certamente sfociata in concessioni ad un nuovo riformismo, ed anche opportunismo di destra.
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jateve a cuccà!

"Vorremmo che alle porte di questo mondo borghese di profittatori oppressori e sterminatori urgesse poderosa un'onda barbarica capace di travolgerlo. Ma in esso tutte le forze, che pure si convellono e contrappongono, si schierano sotto la tradizione della stessa civiltà. Quando possa il movimento rivoluzionario della classe operaia ridarsi forza inquadramento ed armi, e quando possano sorgere formazioni che non stiano ai cenni della civiltà borghese, allora queste saranno le forze barbare, che non disdegneranno il frutto maturo della potenza industriale moderna, ma lo strapperanno dalle fauci degli sfruttatori, spezzando i loro denti feroci, che mordono ancora. Ben venga dunque, per il socialismo, una nuova e feconda barbarie, come quella che calò per le Alpi e rinnovò l'Europa, e non distrusse ma esaltò il portato dei secoli di sapienza e di arte, custodito nel seno del formidabile impero".
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Lettera di Amadeo Bordiga ad Antonio Gramsci (Ustica 13 aprile 1927)

tratta da Avanti Barbari
Ustica 13 aprile 1927
Carissimo Antonio,
ho fatto sì che molti ti scrivessero ma io da tempo non scrivo, forse per il solito vizio che nessuna "pratica" concreta me lo impone: perdonami ancora una volta la mia inguaribilità dai noti vizii. La tua lettera ultima del 4 viene a rimproverarmi implicitamente tale colpa.
Ho sottocchi nello scrivere le tue passate, e le intenzioni di battere per un bel poco i tasti della Corona, del che chiedo anche scusa a chi dovrà leggere la presente. Andiamo.
Nel pacco dei libri non ti fu mandata corrispondenza in arrivo, che era non molta e fu volta a volta inoltrata per posta cambiando l'indirizzo. Mi pare erano poche cartoline: Seguita ad arrivarti qualche stampato, tra cui un opuscoletto della scuola filologica ginevrina, che quella facultè ti trasmette con preghiera di un cenno di revisione...
Riceviamo regolarmente i giornali e le riviste che venivano a te, e così fino a scadenza dell'abbonamento. Da qualche tempo non scrivo al tuo amico Piero (ndr Sraffa) che è stato sempre gentile e ci ha fatto larghe offerte di cui abbiamo assai limitatamente approfittato: per esempio i libri occorrenti in più copie li compriamo a Palermo, tanto più che gli allievi li pagano regolarmente. Ora come quotidiani vengono qui "Ora" e "Giornale di Sicilia", fatti alquanto meglio di "Sicilia Nuova" come ben prevedi: Un nostro amico, Giulio Leoni, fa inoltre venire la stampa della penisola.
Come ho accennato, ti ho fatto scrivere da tutti quelli che hai nominati: solo credo di non aver detto a Tucci quanto concerneva suo cognato. Sono lieto che tu abbia avuto le loro lettere e te ne sia rallegrato, come pure mi tranquillizzai apprendendo che ormai eri in corrispondenza con tua mamma e tua cognata.